Impianti cerebrali iniettabili per agire su singoli neuroni

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 14 maggio 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

Tre anni or sono presentavo una nuova promettente alternativa alla stimolazione con elettrodi impiantati nel cervello con queste parole: “Premere un bottone per eliminare i sintomi, per molte persone affette da epilessia, malattia di Parkinson ed altri disturbi neurologici, è ancora un sogno, ma entro pochi anni potrebbe diventare realtà. Una nuova tecnologia di stimolazione profonda del cervello basata su micro magneti, sembra in grado di superare molti dei limiti del sistema attualmente in uso, la Deep Brain Stimulation (DBS), e potrebbe essere azionata mediante un dispositivo sottocutaneo connesso con fili, oppure wireless, realizzando una sorta di telecomando, per neutralizzare le manifestazioni moleste. Anche se la nuova tecnologia è ancora in fase di sperimentazione animale, un’azienda di apparecchiature elettromedicali ha già acquistato i diritti per la produzione e la commercializzazione dei micro magneti che, se entreranno presto nella fase di valutazione clinica, entro cinque anni potrebbero essere impiegati in terapia”[1]. L’introduzione di questa tecnologia, che ha fra i suoi sostenitori più entusiastici John T. Gale e Giorgio Bonmassar della Harvard Medical School, rappresenta il passaggio da macrostimolatori elettrici a micro magneti che consentono di superare limiti quali la mancanza di selettività, la corruzione da contatto e il rischio di infiammazione[2]. Uno dei problemi che si manifesta nel tempo con la DBS, e gli impianti rigidi in generale, è costituito dai micromovimenti del cervello indotti dalla pulsazione arteriosa per effetto del battito cardiaco, dalla respirazione e dall’attività fisica, in seguito ai quali si produce frizione sul tessuto nervoso e spostamento. I microurti, causando danno locale, generano la formazione di cicatrici gliali, mentre lo spostamento, sebbene minimo, può far perdere la selettività di sede per il monitoraggio e la stimolazione.

Una nuova possibile soluzione a questi problemi viene dalla realizzazione di un dispositivo dotato di una flessibilità e di una consistenza simile a quella dei tessuti dell’encefalo che, per giunta, è stato reso iniettabile da un recente perfezionamento realizzato da un gruppo di ricercatori guidato dal chimico della Harvard University Charles Lieber[3].

In precedenza questo gruppo, con una serie di esperimenti di notevole interesse, aveva realizzato microimpalcature tridimensionali (3D scaffolds) di biomateriali sintetici nanoelettronici (nanoES, nanoelectronic scaffolds) macroporosi e flessibili di grande utilità per la medicina rigenerativa[4], dimostrando la possibilità di far crescere cellule intorno a queste strutture. Il problema principale, soprattutto per le applicazioni nell’ambito delle terapie neurologiche, rimaneva il mezzo mediante il quale collocare tale mesh nella sede cerebrale profonda di elezione per lo specifico tipo di problema.

La singola unità strutturale o mesh, che simula la costituzione dei tessuti naturali ed è formata per auto-organizzazione di reti di reticoli co-planari con built-in strain e manipolazione di matrici 2D, ha uno spessore di pochi micron ed un’ampiezza di pochi millimetri. Il comportamento all’azione meccanica è molto simile a quella del complesso neurogliovascolare del sistema nervoso centrale, presentando una compressibilità ed una risposta elastica quasi identica. Proprio queste proprietà, frutto dell’intensa applicazione del gruppo di lavoro di Harvard che ha finalizzato i propri sforzi alla massima riduzione possibile della differenza esistente fra cervello e dispositivi elettronici così come noi li conosciamo, hanno suggerito la soluzione del problema della collocazione dell’impianto nel cervello.

La mesh, infatti, può essere introdotta in una siringa dove, nel lume ristretto dell’ago il cui diametro è circa 100 micron, per effetto della pressione si arrotola, diventando perfettamente iniettabile, per poi riaprirsi una volta uscita dall’ago[5]. La sottile perforazione cranica ordinariamente impiegata a scopo iniettivo è sufficiente per inviare la nanostruttura provvista di elettrodi nella sede cerebrale desiderata. Lo studio originale, pubblicato nel luglio dello scorso anno, mostrava come componenti elettronici possano essere iniettati in cavità biologiche e artificiali, e dimostrava varie possibili applicazioni, quali: 1) monitoraggio delle trazioni meccaniche interne nelle cavità polimeriche; 2) stretta integrazione e bassa reattività immunitaria in varie regioni del cervello; 3) registrazione neurale in vivo (multiplex).

Il gruppo di Lieber ha iniettato in due differenti regioni cerebrali di topi queste strutture flessibili provviste di ben 16 elettrodi. Ogni mesh è costituita da fibre estremamente sottili di polimeri in nanoscala a maglie molto larghe, così che il 95% del suo volume è costituito da spazio vuoto. Questa caratteristica contribuisce al conferimento della flessibilità simile a quella del tessuto nervoso naturale. Come si è già accennato, una volta iniettata nel cervello l’unità elettronica iniettabile si svolge, aprendosi del tutto se immessa nelle cavità ventricolari, dove aderisce alla superficie delle pareti, o aprendosi solo in parte se introdotta in aree di tessuto nervoso più compatto.

Lo studio dimostra in maniera convincente che gli impianti si integrano perfettamente col tessuto nervoso e gliale, formando connessioni stabili. Tali superfici di adesione, a cinque settimane di distanza, non hanno fatto registrare alcun segno di infiammazione.

La tecnologia è stata studiata presso il Center for Neuroprosthetics del Swisse Federal Institute of Technology di Losanna da Ivan Minev, che ha espresso un giudizio estremamente favorevole, riportato da Simon Makin: “È l’alba della biointegrazione[6].

Un aspetto particolarmente interessante dello studio condotto dal gruppo di Harvard è la precisione con la quale è possibile collocare il piccolo dispositivo iniettabile: la risoluzione spaziale nell’ordine delle dimensioni di un neurone consente studi estremamente mirati ed interventi altamente selettivi per il trattamento mediante stimolazione. L’analisi dei piccoli sistemi e circuiti che compongono aree di densissima connettività non ancora conosciute in dettaglio, potrebbe essere affrontata mediante dispositivi così selettivi per la registrazione mirata. Nell’altro impiego funzionale degli elettrodi, ossia quello di stimolazione in prevalenza adoperato nel trattamento della malattia di Parkinson, il nuovo impianto consente una precisione tale da ridurre al minimo gli effetti indesiderati da stimolazione non selettiva rilevati con la DBS standard.

La funzione di supporto per lo sviluppo di nuove cellule da parte di questi impianti ha suggerito a Charles Lieber un’altra possibilità di impiego terapeutico in neurologia. Nell’ictus cerebrale ischemico, come è noto, la perdita di neuroni all’interno dell’area infartuata rimane il problema principale quando si riescono a contenere i danni causati dall’infiammazione e dall’edema perilesionale. Attualmente il recupero è in massima parte affidato alle limitate possibilità plastiche e di compenso del tessuto cerebrale integro, sollecitate dall’esercizio riabilitativo. Lieber suggerisce l’iniezione nell’area dove si è verificato il danno necrotico, insieme con cellule staminali neurali, degli impianti realizzati dal suo team di ricerca. Naturalmente si tratterebbe di una sperimentazione terapeutica che richiede, a nostro avviso, ancora una fase di studio accurato in modelli sperimentali della crescita delle cellule staminali all’interno dell’area necrotica e del modo in cui tali cellule possono ristabilire la continuità fra i sistemi degli aggregati neuronici indenni[7].

In conclusione, le possibilità più promettenti che vengono dall’impiego di queste microstrutture flessibili sono legate alla nuova dimensione di interfaccia elettrica cerebrale, che sembra potersi integrare in modo quasi naturale in qualsiasi area del sistema nervoso centrale, con una selettività di azione che può giungere al singolo neurone.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli articoli di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-14 maggio 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 02-03-13 Terapia con micro magneti di epilessia, Parkinson ed altri disturbi.

[2] Per gli altri vantaggi e le altre caratteristiche di questa tecnologia ancora in fase di sperimentazione, si suggerisce la lettura dell’articolo appena citato e si ricorda che, oltre all’uso terapeutico in neurologia, i mcro magneti potranno essere impiegati nella stimolazione di altri tessuti eccitabili, quali il tessuto miocardico specifico, gli elementi cellulari dell’orecchio interno o i muscoli scheletrici, come componenti di un pacemaker o di un dispositivo protesico.

[3] Del lavoro di Lieber e di questa mesh è già stata data notizia in precedenza in seno alla nostra società scientifica.

[4] Tian B., et al. (and Lieber C.M.), Macroporus nanowire nanoelectronic scaffolds for synthetic tissues. Nature Materials 11 (11): 986-994, 2012.

[5] Liu J., et al. (and Lieber C.M.), Syringe-injectable electronics. Nature Nanotechnology 10 (7): 629-36, 2015.

[6] Cfr. in Sci. Am. Mind 27 (2): 12, 2016.

[7] Le alterazioni morfo-funzionali dei circuiti locali sono fra i problemi allo studio per la terapia cellulare dell’ictus ischemico.